A leggere i mercati, a dominare, in questi primi giorni dell’anno, è l’incertezza.
Non vanno però dimenticati 2 fattori. In primis, incastonati come sono tra le feste, sono piuttosto “sottili” (cioè hanno scambi limitati), con molti operatori ancora in vacanza. In secondo luogo, “scontano” il forte rialzo (mercati azionari oltre le 2 cifre) degli ultimi 2 mesi 2023. Fattori entrambi importanti, che, però, non deve far passare inosservato quanto sta succedendo in giro per il mondo. Nulla di nuovo o di particolarmente preoccupante, peraltro, ma sufficiente per rompere la “monotonia” del “pilota automatico”.
L’inflazione, la grande osservata (e preoccupazione più grande), continua a tenere tutti, a cominciare dalle Banche Centrali, sul “chi va là”. Ieri sono usciti i dati di Germania e Francia: in entrambi i Paesi si assiste ad una “coda”, con i prezzi che, nel mese di dicembre, per quanto riguarda l’inflazione “armonizzata” (quella che definisce l’inflazione a livello europeo), sono risaliti al 3,8% (dal 2,3% di novembre) nel primo e al 4,1% (dal 3,9%) nel secondo. Si parla, a livello mensile, di incrementi rispettivamente dello 0,2% e dello 0,1%: nulla di preoccupante, quindi (per il momento), a maggior ragione in quanto già previsti. Quanto basta, comunque, per non abbassare la guardia e ricordarci che precoci balzi in avanti (delle aspettative di ribasso) possono essere causa di nuovi problemi. Oggi sono attesi i dati di Italia e Spagna, per cui avremo qualche indicazione.
Un altro dato macro tenuto in gran conto dagli analisti, soprattutto oltre oceano, è il dato relativo all’occupazione. Che, ancora una volta, conferma una situazione che nulla ha a che vedere con un’economia in recessione. I dati pubblicati ieri sulle assunzioni del mese di dicembre ribadiscono, sorprendendo in positivo, ancora una volta che l’economia “stelle e strisce” non sta soffrendo. E oggi sono attesi ulteriori comunicazioni dal Bureau of Labour Statistics, che dovrebbe ulteriormente sancire che l’andamento positivo delle nuove assunzioni, con un tasso di disoccupazione che dovrebbe attestarti al 3,8%, e quindi molto vicino ai minimi di sempre.
Insomma, 2 fattori che in teoria dovrebbero allontanare il momento in cui gli organismi monetari daranno il via ai ribassi. Un fatto che, oggettivamente, almeno teoricamente dovrebbe togliere qualche mattone a chi vorrebbe costruire una “realtà” improntata solo su letture positive. In tempi recenti (era fine agosto), peraltro, la reazione all’idea che le banche centrali avrebbero potuto continuare nel rigore (cosa che, nella realtà, è finita a settembre, con l’ultimo rialzo), aveva causato un ribasso, poi terminato intorno all’ultima decade di ottobre, di circa il 10%. Da quanto possiamo vedere in questi giorni, invece, sembra persistere una visione di fondo positiva, confermata da alcuni segnali.
Il petrolio, per esempio, nonostante i fattori geopolitici e la “resistenza dell’inflazione, continua a non dare segnali di ripresa, con le quotazioni che rimangono sotto controllo e che così dovrebbero rimanere, almeno stando ad uno studio di Morgan Stanley, per tutto il 2024.
Sebbene gli indici azionari globali, soprattutto per quanto quelli USA, a maggior ragione per la componente tecnologica (già si è detto di Apple), abbiano iniziato l’anno in “sordina”, sembrano guidati più dal desiderio di prendere beneficio, dopo una crescita nell’ultima parte dell’anno che ha pochi precedenti, con lo S&P 500 salito del 14,2% (solo altre 6 volte, dal 1950 ad oggi, si era verificato che fosse cresciuto oltre il 10%). Tant’è vero che ieri quelli europei hanno avuto andamenti più che positivi, con rialzi nell’ordine dell’1%.
Più aderente alla realtà sembra, invece, l’andamento degli indici obbligazionari. Gli spread, infatti, sono tornati ad allargarsi, con i rendimenti ancora in crescita (il nostro BTP, per esempio, è nuovamente al 3,80%, dopo che nei giorni scorsi era sceso al 3,50%): anche in questo caso il “movimento” nell’ultima parte dell’anno è stato assolutamente eccezionale, con un rialzo delle quotazioni di molti titoli obbligazionari che ha superato il 10%, fatto certamente inusuale per questi asset. Anche in questo caso, comunque, sarebbe fuorviante parlare di “inversione di tendenza”: più corretto dire che si sta tornando con “i piedi per terra”, con i prezzi che tornano a rispecchiare la realtà. Che è fatta, nel medio termine, di riduzione dei tassi, ma senza necessità di corse che potrebbero condurre a risultati ben diversi dagli obiettivi che si vogliono perseguire.
La prima settimana dell’anno si chiude con i mercati del Far East ancora incerti. Nella giornata odierna, l’unico che mantiene il segno verde è il Nikkei di Tokyo, in rialzo dello 0,27%.
Confermano, invece, l’andamento negativo i mercati Great China: Shanghai arretra dello 0,85%, mentre a Hong Kong l’Hang Seng segna – 0,57%.
Futures appena sotto la parità un po’ su tutti i mercati.
Petrolio stabile, con il WTI a $ 72,67 (+ 0,57%).
Gas naturale Usa a $ 2,81. In forte rialzo, ad Amsterdam, il megawattora (+ 7%), a causa del grande freddo già arrivato nel nord Europa.
Oro a $ 2.050, sui valori di ieri.
Spread a 168 bp, con il nostro decennale a 3,80%.
Bund 2,02%.
Treasury ad un passo dal 4% (3,99%).
€/$ 1,0927.
Bitcoin a $ 43.819.
Ps: quindi, come ci dice anche il prezzo del gas, l’inverno (finalmente) pare stia arrivando. E, come spesso accade, lo fa senza mezze misure. In Svezia, tra mercoledì e ieri, sono state registrate temperature di – 43°. Ad Helsinki – 19°. E anche da noi pare che nei prossimi giorni non si scherzi. C’è da augurarsi che l’accordo sul clima, raggiunto, a grande fatica, il mese scorso, non sia tardivo e, soprattutto, non sia solo “window dressing” (da noi si direbbe “specchio per le allodole”).